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di Carlotta Fassina
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Il Museo Botanico dell'Orto Botanico

NaturalmenteVeneto
Pubblicato in Gallery Events · 4 Dicembre 2020
Nel 2022 i Musei dell'Università di Padova saranno molto diversi da oggi perché si stanno preparando già da tempo alla ricorrenza degli 800 anni dell'Università (fondata nel 1222). In questo breve articolo intanto vi presentiamo qualche curiosità sulla collezione del Museo Botanico

di Carlotta Fassina*
Con i suoi 600.000  campioni di piante essiccate, 69.000 esemplari di microfunghi, oltre 40  metri di armadi fatti su misura per gli erbari, con le sue migliaia di  alghe, semi e sezioni di tronchi, il Museo Botanico è il fiero compagno  dell’Orto Botanico di Padova, l’orto universitario più antico del mondo,  fondato nel 1545.
Per chi ama l’ordine  sobrio e nel contempo elegante le vetrine ottocentesche e i contenitori  che proteggono le collezioni sono un vero piacere per la vista. E poi lo  sono un meraviglioso mobile in legno a cassetti fitti che ospita una  moltitudine di contenitori vitrei di semi di tutti i tipi e l’opera  d’arte rappresentata dall’armadio a colonna esagonale dove il botanico e  mecenate veronese, Achille Forti, riponeva i suoi gioielli: 10.000  vetrini di alghe, soprattutto Diatomee. Se pensate che le alghe  essiccate non siano belle da vedere vi ricrederete guardandole da vicino  perché sembrano dei disegni artistici fatti di colori diversi e  sfumature delicate. A differenza delle piante, infatti, le alghe  conservano in buona parte il loro colore, pur disseccate. Studiarle  permette di avere molte informazioni anche sui cambiamenti climatici in  atto attraverso il confronto di distribuzione geografica tra passato e  presente.
Tutto il materiale  accumulato al Museo aveva e ha tuttora una funzione di studio. È il caso  per esempio delle sezioni di piante legnose, che servivano al  riconoscimento anche durante il riposo vegetativo, o dei moltissimi semi  conservati in vetro, i quali possono essere usati per confronto con  quelli ritrovati durante gli scavi archeologici, oppure nelle fatte dei  mammiferi oppure ancora possono servire per sventare importazioni  illegali alle dogane.
L’erbario, in continuo  arricchimento, ha campioni raccolti a partire dalla fine del 1700 e si  suddivide in una sezione delle Venezie, che include il Triveneto e  l’Istria, e una sezione generale con piante raccolte nei Paesi dove i  botanici dell’Orto si recavano o con cui l’Italia aveva rapporti più  intensi, come Francia, Germania, Svizzera, ma anche Brasile, Argentina e  Tripolitania.
I funghi sono un po’  un intruso nell’erbario, dal momento che vengono considerati un regno a  parte diverso dalle piante; per tradizione però sono sempre abbinati ad  esse. Muffe e altri microfunghi erano la vera passione del prefetto  dell’Orto Pier Andrea Saccardo che scrisse su di essi la mastodontica  opera in ventidue volumi Sylloge fungorum, in cui tentò  un’accurata classificazione delle 72.000 specie conosciute alla fine del  1800. Oggi i microfunghi sono sottoposti a un’accurata indagine  genetica al fine di una classificazione compatibile con l’avanzamento  delle ricerche in questo difficile campo.
Per chi invece  preferisce i funghi classici vi sono due belle sezioni di modelli, una  in creta e l’altra in cera. La prima fu realizzata dal fiorentino Egisto  Tortori, specializzato nelle accuratissime riproduzioni anatomiche che  sono oggi visibili sia all’Università di Padova, che al Museo patologico  di Firenze. Le cere sono invece opera del trevigiano Carlo Avogradro  degli Azzoni e hanno la particolarità di avere basamenti verdi, rossi o  neri a seconda che i funghi rappresentati siano commestibili,  potenzialmente pericolosi o velenosi. Gli spaccati riproducono  fedelmente i colori che i funghi assumono quando si ossidano a contatto  con l’aria, una volta tagliati.
Meravigliosa è poi la  xilotomotheca, una raccolta in bustine di sezioni longitudinali e  trasversali di legni dello spessore di pochissimi millimetri. Per  realizzarle il geniale Adriano Fiori aveva escogitato una sorta di  affettatrice, di cui oggi purtroppo non rimane traccia.
Per finire con le curiosità, vale la pena vedere il frutto del “coco de mer”, della palma Lodoicea maldivica endemica  delle Seychelles. L’enorme frutto dalle forme femminili pesa, quando ha  la polpa all’interno, 23-24 kg. Era una vera curiosità per gli Europei,  che lo importavano per esporlo nelle collezioni naturalistiche delle wunderkammer,  le “camere delle meraviglie” settecentesche. Oggi la specie è protetta  per salvaguardarla dall’eccesso di raccolta, come del resto lo sono le  nostre piante rare, che per essere essiccate a uso degli erbari  richiedono precise autorizzazioni,  rilasciate per importanti ragioni di  ricerca.



Carlotta Fassina
Dottore in Scienze Naturali
Comunicazione e grafica
Guida Ambientale Escursionistica
cell. 3801830644
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