Le strane creature dell'Acqua di Arcimboldo
4 Dicembre 2020

Visto per la prima volta, distrattamente, l’uomo Acqua di Arcimboldo sembra uno scherzo uscito da un acquario marino o da un banco di pescheria, eppure in mezzo a pinne, code e chele si celano figure strane, che nuotano nelle acque vorticose in cui il reale si mescola agli immaginari della fantasia.
Un’analisi istantanea di quest’opera rivela la grande abilità pittorica e descrittiva dell’eclettico artista italiano, la grande attenzione per i particolari, ma anche l’appartenenza a un’epoca storica, il Rinascimento, in cui la scienza comincia timidamente a emanciparsi dal mito e dal simbolismo medievale, risentendone tuttavia ancora profondamente dell’influsso. Nell’Acqua troviamo, accanto alle creature di mare e di fiume, anche i mostri usciti dai libri del tempo o dell’epoca precedente.
Il contesto storico e culturale
Giuseppe Arcimboldo o Arcimboldi (Milano, 5/4/1526 — Milano 11/7/1593) fu un artista eclettico. Lavorò alla progettazione delle vetrate di Milano, agli affreschi del duomo di Monza e in altri cantieri lombardi, per poi trasferirsi alla corte asburgica degli imperatori Massimiliano II e del figlio Rodolfo II ed occuparsi non solo d’opere d’arte ma anche dell’organizzazione di feste ed eventi.
Fu alla corte austriaca che realizzò le allegorie delle quattro stagioni e dei quattro elementi (Acqua, Terra, Fuoco, Aria), riprodotte in più copie per essere inviate come dono degli Asburgo agli amici stretti.
La versione dell’Acqua conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna è datata 1566. In quel momento storico regnava ancora Massimiliano II, mentre il giovane Rodolfo II, al tempo quattordicenne, era a Madrid a trascorrere gli anni della sua formazione. Arcimboldo non poteva quindi essere stato condizionato dalla grandiosa wunderkammer che Rodolfo realizzò nei successivi anni del suo impero, forse piuttosto da quella di Ferdinando II del Tirolo, zio di Rodolfo, che conteneva tra l’altro coralli italiani e conchiglie marine di varia provenienza. Le wunderkammer, con il significato italiano di Camere delle meraviglie, erano dei gabinetti delle curiosità che contenevano al loro interno le Mirabilia, oggetti particolari per forma, rarità e unicità, provenienti dal mondo naturale (Naturalia) o dall’opera dell’uomo (Artificialia), quindi comprendenti animali strani, fossili, minerali, opere d’arte, reperti archeologici e altro ancora. Entro questo mondo di cose da ammirare comparivano creature fantastiche come i basilischi: dei falsi costruiti appositamente con parti di animali diversi, eppure al tempo presi molto sul serio.
Le teste dei personaggi di Arcimboldo hanno un che di wunderkammer e quasi certamente non sono soltanto il prodotto di un gusto per il bizzarro e lo scherzoso, ma hanno anche il significato simbolico di ricerca di un’armonia universale. Contemporaneamente ad Arcimboldo, altri artisti della corte asburgica raffigurarono unicorni, rinoceronti e creature mostruose per arricchire le collezioni dei regnanti.
Sappiamo che pure Massimiliano II era un collezionista d’oggetti vari, soprattutto di libri, inesauribile fonte di creature fantastiche e di raffigurazioni di animali, ai quali il genio di Arcimboldo potrebbe essersi ispirato.
L’opera Acqua
Cominciamo a guardare però l’opera Acqua con un occhio da naturalista. Visto nell’insieme questo olio su tavola in legno sembrerebbe dedicato al mare, ci sono tuttavia anche riferimenti all’acqua dolce come la rana e il presumibile luccio, da cercare rispettivamente vicino all’astice rosso ed all’altezza del collo.
La rana offre il dettaglio delle pliche dorsali, ovvero di quelle linee in rilievo che caratterizzano il dorso delle nostre rane e che scendono dalla zona della testa in giù. Sulla base del colore, del disegno delle guance, con le linee sovrapposte scura e chiara sotto l’occhio, si potrebbe azzardare persino che si tratti di una rana agile, Rana dalmatina, ma stiamo parlando comunque di un’opera d’arte e rimanere nel campo delle ipotesi appare legittimo.
Proseguendo nell’analisi possiamo notare come alcune specie sono disegnate con grande accuratezza, segno che l’artista aveva avuto modo di vederle dal vero, da vive o da morte, sui banchi delle pescherie, tra le reti dei pescatori o sulle tavole imbandite.
Bellissimi e realistici sono la razza, il cavalluccio marino, la canocchia, il polpo (pur con una pupilla tonda e non orizzontale come dovrebbe), lo scorfano, i coralli, la foca monaca e persino la “tremolina”, una delle tante specie di anellidi conosciute, purtroppo, solo in quanto esche da pesca.
Convincono meno la tartaruga marina e il tricheco, mentre non ho saputo identificare la specie presente al posto del naso (forse una murena?) e alcuni altri pesci. Meravigliosa la scelta del pesce luna, Mola mola, per raffigurare l’occhio di questo “uomo d’acqua”.
I mostri marini
E infine veniamo alle due stranezze che troviamo nel dipinto: una attorcigliata attorno al collo e l’altra sulla sommità del capo, in corrispondenza dei due getti d’acqua che escono da due sfiatatoi differenti. È qui che, secondo me, entrano in gioco i libri che Massimiliano II deve aver posseduto alla sua corte.
Anche se camuffato in parte da altri pesci, quel corpo sinuoso, crema e mattone con una banda in mezzo più scura, ricorda molto, anche nella posizione, il serpente marino che il famoso naturalista Ulisse Aldrovandi (1522–1605) fece imprimere da matrice xilografica e poi acquerellare in una sua tavola contenuta nella sua Historia Naturalis, pubblicata in 13 volumi tra il 1599 e il 1668, probabilmente circolante come matrice o come immagine già molto prima.

L’Aldrovandi nel testo scrisse in latino che già Aristotele aveva raccontato del serpente marino e che questo aveva la testa di un grongo, con moltissimi denti e corpo più rotondo di quello dell’anguilla. Arduo, se non impossibile, capire se si trattasse di una murena o di un semplice animale immaginario, che cambiava comunque forma e dimensione da un libro di testo o addirittura da una raffigurazione all’altra. All’epoca il serpente, terrestre o marino che fosse, era comunque ancora un’entità negativa, paurosa, da sconfiggere e carica di significati religiosi. Quale poteva essere allora il significato del serpente marino attorcigliato al collo dell’uomo d’acqua? Un avvertimento nei confronti dell’insidia e della precarietà dell’esistenza? Forse.
Sia il serpente marino che l’animale a due sfiatatoi compaiono in un’opera certamente precedente: l’Historia de gentibus septentrionalibus scritta da Olao Magno o Olaus Magnus, citato espressamente dall’Aldrovandi. Olao Magno(1490–1557) era un geografo svedese e arcivescovo cattolico. Cercò di convertire al cattolicesimo gli abitanti svedesi e non è improbabile che i suoi scritti fossero apprezzati dai familiari di Massimiliano II d’Asburgo, di forti radici cattoliche. Il finale dell’opera ridonda di illustrazioni di animali fantastici: dai serpenti marini, ai porci di mare con corpo di cinghiale e pinne da pesce, alla strana creatura chiamata Physeter.Il Fisetere (Physeterin greco significa sfiatatoio) era descritto come il terrore delle navi di passaggio nei mari nordici che la bestia inondava con i suoi getti d’acqua usciti dai due sfinteri, da cui prende il nome.

Mana del mare
E per concludere voglio immaginare che il mare di Arcimboldo invada anche il resto del corpo, trasformandolo a sua volta in mare, così come pensò il poeta inglese David Herbert Lawrence (1885–1930) nella sua poesia Mana of the sea
Do you see the sea, breaking itself to bits against the islands.
Yet remaining unbrocken, the level great sea?
Have I caught from it
The tide in my arms
That runs down to the shallows of my wrists, and breaks
Abroad in my hands, like waves among the rocks of substance?
Do the rollers of the sea
Roll down my thighs
And over the submerged islets of my knees
With power, sea-power
Sea-power
To break against the ground
In the flat, recurrent breakers of my two feet?
And is my body ocean, ocean
Whose power runs to the shores along my arms
And breaks in the foamy Hands, whose power rolls out
To the white-treading waves of two salt feet?
I am the sea, I am the sea!
Vedi il mare? frantuma se stesso contro le isole, eppure rimane intatto, il grande mare eguale.
Ho tratto io da lui
la marea tra le mie braccia
che scorre giù stringendosi verso i miei polsi, e poi dilaga nelle mie mani,
come onde tra le rocce di sostanza?
I marosi (lett. i rulli) del mare
rotolano giù per le mie cosce
e sopra le isole sommerse delle mie ginocchia
con potenza, potenza del mare
potenza del mare
per rompere contro il terreno
per i levigati, ripetuti frangenti dei miei due piedi?
Ed è il mio corpo oceano, oceano
la cui potenza corre sino alle rive lungo le mie braccia
e si rompe nelle mani di schiuma, la cui potenza si srotola sino
al bianco incedere d’onda di due piedi di sale?
Io sono il mare, io sono il mare!
*questo testo non ha la pretesa di avere un valore di critica d’arte. La ricerca che ha condotto a Olao Magno e a Ulisse Aldrovandi è della scrivente e quindi si chiede gentilmente di prenderla come tale, citandone possibilmente la fonte